Studiare la Parola di Dio è un lavoro
arduo, perché significa uccidere la nostra pigrizia mentale e, soprattutto, uscire
dalla nostra zona di conforto. La zona di conforto è essere soddisfatti con
quello che abbiamo già imparato nel passato. Tutti noi, all’inizio della nostra
camminata di fede, abbiamo imparato, ascoltando gli altri, diverse cose: alcune di esse sono bibliche, altre sembrano
bibliche e altre ancora con la Bibbia non hanno nulla a che vedere. Tutti
passiamo per questo. Poi, a causa della nostra natura, ci aggrappiamo con tutte
le nostre forze alle nostre convinzioni, a ciò che abbiamo imparato. Non
importa se corrette o errate, perché riflettere e confrontarsi con altre
interpretazioni non soltanto è un lavoro arduo, come ho detto all’inizio, ma è
anche uscire dalla nostra zona di conforto. Non è facile mettere in discussione
ciò a cui abbiamo sempre creduto senza sapere con che cosa sarà sostituito,
rompere paradigmi, rivedere schemi mentali che ci hanno accompagnato fino ad un
attimo prima.
A me piace studiare la Parola. Io penso teologicamente tutto il tempo e mi faccio, tutti i giorni, innumerevoli domande alle quali cerco di dare una risposta. Non è necessario che tutti siano come me, anzi è preferibile che all’interno di un corpo ci siano differenze perché insieme si giunga all’unità di cui l’apostolo Paolo parla nella Lettera agli Efesini.
Quando insegno, il mio obiettivo non è nozionistico, ossia dare informazioni dottrinarie, ma cercare di stimolare chi mi ascolta a riflettere, risvegliare la sua curiosità. Mi piace sfidare chi ascolta a mettersi in discussione, mettere in gioco le sue convinzioni, per costringerlo ad essere nuovamente curioso e quindi pronto per acquisire nuove conoscenze.
Le reazioni sono diverse, così come sono diverse le persone che abbiamo di fronte. Alcuni ascoltano senza rielaborare nulla di ciò che hanno sentito, altri si incuriosiscono e vogliono sapere sempre di più, altri si appassionano al sapere teologico, altri ancora dimostrano riluttanza perchá non vogliono mettere in discussione ciò che hanno imparato nel tempo.
Io, quando ho iniziato questo viaggio, in qualità di alunno, ero certamente curioso e appassionato, ma ero allo stesso tempo anche riluttante di fronte alle novità che mi venivano proposte. La mia era la classica arroganza di chi non sapeva di non sapere, ma pensava di sapere. I miei professori, provenienti da varie denominazioni, durante le loro lezioni dicevano spesso qualcosa che “mi suonava strano”. La mia reazione, per niente umile, era sempre la stessa: ma che eresia è questa? Divenne famosa la mia frase: “Professore, mi dispiace ma quello che dice non c’è nella mia Bibbia”. Ma queste “stranezze” mi spingevano a studiare, a cercare la verità, a ripensare, reinterpretare, rielaborare. Il mio obiettivo era poter dimostrare, alla luce delle Sacre Scritture, che la loro interpretazione delle Scritture era errata. Oggi posso dire che qualche volta ho avuto ragione io, ma il più delle volte avevano ragione loro. Non importa. Ciò che importa che tutto questo mi ha spinto in avanti, ad alzare il livello, mi ha obbligato ad aprire la mente, iniziando così a pensare fuori dagli schemi, a rompere paradigmi, a non sentirmi mai soddisfatto con ciò che sapevo o pensavo di sapere, ad uscire dalla mia zona di conforto teologico, affrontare le novità con uno spirito differente.
Non ho mai “comprato” tutto quello che mi insegnavano. Questo non è mai accaduto durante la laurea in teologia e nemmeno durante le specializzazioni successive dove c’erano professori certamente poco ortodossi dal punto di vista teologico. Molte cose le ho dovute buttare nel cestino, ma sempre e soltanto dopo averle studiate, dopo averci riflettuto, dopo averle confutate alla luce della Parola. Dopo venti anni di studi teologici, questa è la cosa più importante che ho imparato: uscire dalla mia zona di conforto per darmi la possibilità di imparare sempre nuove cose.
La polemica, il dibattito teologico, il confronto è benvenuto, perché è così che si cresce, è così che si passa da semplici ascoltatori a persone capaci di pensare, riflettere, interagire. Per questo motivo, sempre provocherò il confronto, la curiosità, le domande scomode. Nel rispetto dell’altro, qualsiasi posizione è degna di essere ascoltata. Poi sarà necessario che la propria posizione venga approvata dalle Scritture, perché “io penso che” non vale in un dibattito scientifico e nemmeno in teologia. Se affermiamo A piuttosto che B, dobbiamo sapere dimostrare perché A è vero e B non lo è, altrimenti restiamo nel campo delle opinioni e questo va bene al bar con gli amici.
Non disprezzate lo studio della Parola. È uno dei migliori investimenti che possiate fare su questa terra.
Qoelet: riflessioni teologiche in tempi dfficili. Il blog di Matteo Attorre

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