L’essere umano non è preparato per affrontare difficoltà e ciò perché tutti noi ci aspettiamo che possano accadere soltanto cose belle. Quando una fatalità o una avversità ci attinge, noi subito ci disperiamo. Spesso incolpiamo Dio, quello stesso Dio che abbiamo ignorato sino al giorno prima.
Perché secondo il pensiero comune, Dio esiste soltanto quando cura una malattia, quando facciamo carriera e il nostro conto in banca aumenta. Dio si manifesta nella ricchezza e nella salute e non nella povertà o nella malattia.
L'essere umano, per natura, non riesce a superare lo stereotipo di un Dio che non soltanto permette che uno stupratore stupri, ma poi nemmeno lo fulmina. Un Dio che si gira dall'altra parte quando una mamma, malata di leucemia, lascia una piccola orfana.
Non è in questo articolo che avrò modo di spiegare in maniera approfondita come funzionanano le cose, ma posso sicuramente lasciare qualche traccia di buon senso biblico a chi vorrà seguirle. Certamente le cose non stanno così, perché Dio non agisce con questi schemi. Le nostre intrepretazioni antropomorfiche degli attributi divini ci portano inequivocabilmente fuori strada.
In verità, già nell’Antico Testamento viene descritto un Dio fedele anche se imprevedibile, un Dio imprevedibile nella Sua fedeltà. Dio si è sempre mantenuto fedele al Suo popolo nonostante il peccato e l’incredulità.
Non possiamo sondare la mente di Dio, e la sua imprevedibilità, a dire il vero, salvaguardia la sua libertà. La sua imprevedibilità fa in modo che non possa essere ridotto ad un genio della lampada, un semplice guardiano dei nostri interessi personali. Dio non è un servo idiota dell’uomo che possa essere imprigionato o spiegato dalla logica umana.
Ma torniamo alla "dottrina" della retribuzione giudaica così cara ancora oggi a molti cristiani. E quando parliamo di "dottrina" della retribuzione non possiamo non citare Giobbe ed il suo libro omonimo.
Il Libro di Giobbe parla di fede, ma parla anche dell’integrità del credente durante le tempeste della vita. Sopra ogni cosa, tuttavia, rivela in maniera nitida il carattere di Dio e soprattutto rompe, già nell’Antico Testamento la “dottrina” della retribuzione, antenata della odierna e tristemente famosa “teologia della prosperità”, una eresia cancerogena che si è metastatizzata nelle chiese del XXI secolo.
Il Libro di Giobbe smonta completamente la “dottrina” della retribuzione, credenza generalizzata tra i giudei dell’Antico Testamento, per la quale le buone azioni attirerebbero la benedizione divina, così come le azioni malvagie attirerebbero le maledizioni. Ovviamente, smonta anche l’odierna “teologia della prosperità” e altre amenità che contaminano la sana dottrina come il “pensiero positivo”, la “legge della attrazione” eccetera.
I giudei credevano che Dio retribuisse le buone azioni e anche quelle malvagie esclusivamente durante la vita terrena, in quanto il destino finale di tutti i morti, buoni e cattivi, senza alcuna distinzione, era lo Sceol, ossia il regno dei morti, e soprattutto pensavano che la retribuzione divina fosse direttamente proporzionale alla bontà o malvagità dimostrata dall’uomo durante la sua esistenza terrena.
Purtroppo, molti evangelici
vivono ancora oggi come giudei dell’Antico Testamento, dimenticandosi della dottrina della grazia che già in embrione nell'Antico Testamento ( e nel Libro di Giobbe) è stata sistematizzata nel Nuovo Testamento dall'apostolo Paolo.
Tornando a noi, per chi non ha ancora avuto la possibilità o la volontà di leggere questo splendido Libro dell’Antico Testamento, possiamo riassumere che Giobbe era un “uomo integro e retto, temeva Dio e fuggiva il male”. Giobbe era ammirato dagli uomini e da Dio, un uomo prospero dal punto di vista economico e sociale. Ad un certo punto, Dio permette che molte tragedie lo colpiscano, inspiegabilmente. Giobbe arriva a perdere i suoi beni, i suoi figli e la sua salute. Perché? Non certamente a causa del peccato, visto che Giobbe viene definito dallo stesso Dio come un “uomo integro e retto, temeva Dio e fuggiva il male”.
Bene, Satana aveva sfidato Dio in merito a Giobbe, affermando che Giobbe amava Dio soltanto perché Dio lo aveva benedetto oltremisura. Dio, in ultima analisi, aveva “comprato” l’amore di Giobbe, benedicendolo più di altri. In altre parole, Satana stava mettendo in dubbio non soltanto la sincerità di Giobbe, ma soprattutto il carattere di Dio, il quale corrompe gli uomini per farsi amare. Dio, il quale conosceva Giobbe più di qualunque altro, accetta la sfida, dichiarando che l’amore di Giobbe per Lui era sincero e genuino.
Giobbe, realmente, rimase integro anche durante la sofferenza. Nonostante le circostanze, Giobbe non bestemmiò contro Dio per aver perso i beni, i figli e la salute. Durante tutto il libro si pone molte domande, ma alla fine, anche grazie a questa terribile avventura, Giobbe arriva a conoscere Dio in maniera più intima, a relazionarsi con Lui in maniera più matura: la sofferenza fa maturare molto di più di una vita con petali di rosa sotto i piedi, che ci piaccia oppure no.
Ci sarebbero molte cose da dire, ma per restare alla nostra riflessione teologica di oggi, il Libro di Giobbe rompe completamente e definitivamente con la teoria della retribuzione, anzi gli da un vero e proprio scacco matto. Realmente, Giobbe amava Dio in quanto Dio e non per le benedizioni che aveva ricevuto durante la sua vita.
Purtroppo, gli adepti del grande supermercato della fede ritengono vantaggioso usare frasi bibliche fuori dal suo contesto per indurre i più sprovveduti a credere che possiamo fare affari con Dio, barattare la sua benedizione con la nostra religiosità. Questa relazione di scambio tra uomo e Dio non solo è teologicamente infantile, ma dimostra una totale ignoranza della natura e del carattere divino: Dio non è un commerciante.
Il Libro di Giobbe dimostra che anche seguendo tutti i precetti religiosi e facendo le migliori opere, non saremo mai liberi dalle crisi, mai saremo totalmente esenti dalla possibilità di sperimentare la sofferenza.
Il Libro di Giobbe, probabilmente il libro più antico della Bibbia, anticipa in maniera inesorabile, già nell’Antico Testamento, la dottrina della grazia: Dio è Dio, benedice chi vuole, è libero di fare miracoli quando e come vuole: alla fine, Lui è fedelmente imprevedibile.
Desidero concludere con una frase del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, uno dei maggiori critici del cristianesimo e nemico acerrimo del Dio dei cristiani: “L’uomo, nel suo orgoglio, ha creato un Dio a sua immagine e somiglianza”. Nietzsche aveva ragione. Abbiamo qui un ateo che pronuncia una grande verità. Siamo passati dall’uomo a immagine a somiglianza di Dio che, ribellandosi ancora una volta, crea un Dio a sua immagine e somiglianza, un Dio su misura.
Qoelet, riflessioni teologiche in tempi difficili, il blog di Attorre Matteo.

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