26/10/2024

Come l'assurdo diventa verosimile



Un po' come l'autore di Ecclesiaste, che ne ha già vissute tante e non ci tiene affatto ad avere nuovi amici a scapito della verità, oggi parlerò di alcune credenze che non hanno nessuna base biblica. Purtroppo il sincretismo religioso ovvero la fusione del cristianesimo con altre credenze religiose sfocia poi in  affermazioni che non hanno riscontro nelle Sacre Scritture: paganesimo, occultismo, spiritismo, misticismo e così via. 


Quella sequela di "dichiara con fede che sarai prospero, che sarai guarito, che arriverà la vittoria" e altre amenità assortite partono dal presupposto che la nostra parola abbia potere nel mondo fisico e soprattutto spirituale. Chiarisco subito che io credo che Dio possa fare prospero chiunque, così come guarirlo da qualsiasi malattia. Non è il potere di Dio che viene messo in discussione, quanto il potere delle parole che noi proferiamo anche se in fede e nel Suo nome.

In verità, la questione della "tua parola ha potere" nasce da un movimento chiamato di Confessione Positiva, da cui poi ha avuto anche origine la nefasta “teologia” della prosperità. Stessa radice. Vedremo brevemente che cos’è, qual è la sua origine e se c’è qualcosa di buono in questa “corrente teologica”.

La Confessione Positiva è un movimento nato tra gli evangelici più di 40 anni fa, basato sull’insegnamento di un pastore chiamato Essek William Kenion, che è considerato il padre della “teologia” o dottrina della prosperità e, per l’appunto, della Confessione Positiva. Kenion era uno studioso nell’area della comunicazione, dell'ermeneutica e della interpretazione e da tempo seguiva una linea di pensiero, già in auge a quell’epoca, basata sullo strutturalismo. Lo strutturalismo dice che un testo e le parole in esso contenute sono autonome, cioè non strettamente collegate al suo autore. Vediamo se riesco ad essere più chiaro: quando l’autore muore, il testo da lui prodotto resta vivo, ha una vita propria. Il senso è contenuto nelle parole del testo. Questa idea, che le parole abbiano un senso che va oltre l’intenzione di chi le ha scritte, venne trasposta da Kenion alla sua personalissima teologia. Quindi il nostro eroe iniziò ad affermare che le parole che diciamo, proferiamo, hanno un potere intrinseco di creare una nuova realtà prima nel mondo spirituale poi in quello naturale, fisico, concreto.

Ho letto, non per diletto, alcuni libri famosi di autori che difendono questa teoria. Cito, fra tutti, “C’è potere nelle tue parole” di Don Gosset, un cappellano della Marina degli Stati Uniti, ma soprattutto “Quarta dimensione” di Paul David Yonggy Cho, famoso pastore coreano, dove l’autore difende la teoria che quando noi preghiamo dobbiamo chiedere a Dio esattamente quello che vogliamo, con ricchezza di dettagli. Non è sufficiente chiedere una bici, per usare un suo esempio contenuto nel suo libro, ma dobbiamo specificare la marca, il colore, il numero di marce, dove Dio ce la dovrà consegnare ed altre idiozie assortite. Le nostre parole determineranno la realtà spirituale e fisica intorno a noi. Un ultimo libro, più recente, che ho dovuto leggere mio malgrado, è “Il segreto. La legge dell’attrazione” di Rhonda Byrne. Come si evince dal titolo questo libro, un vero best seller, tratta del fatto che parole positive attraggono avvenimenti e persone positive. La Bibbia vale la pena ribadirlo, non da nessun supporto a queste idee.

Non solo libri. Anche molti ministeri sono stati costruiti su queste teorie. Tra i molti apostati, la prima che mi viene in mente è Valnice Milhomens, che si fa chiamare apostola. Il suo ministero si chiamava, almeno in passato, “Parola di fede”, perché lei riteneva che pronunciare, dichiarare, affermare con fede una benedizione o una vittoria, riusciva a generare nel mondo spirituale e poi nel mondo fisico una nuova realtà in accordo con quanto dichiarato. Dopo aver sbagliato per ben due volte la data del ritorno di Gesù, l’apostola è caduta un po’ in disgrazia. Un po´ ho detto, perché nelle scorse settimane ha proposto alla chiesa brasiliana un digiuno per fermare l'azione del diavolo che avrebbe preso di mira il Brasile. Nemmeno commento, perché si sta parlando di cose fuori da ogni logica e che sottindendono un potere che il diavolo non ha.

Molto più famosi della “profetessa” sopraccitata, Kenneth Hagin, Kenneth Coppeland e Benny Hinn, il quale ultimo ha riempito, decine d’anni fa, il Palazzetto dello Sport di Roma. Lasciatemi la libertà di esprimere la mia sottile ironia pensando ai frutti che ha prodotto quel “culto” dove le persone cadevano a terra come pere mature ad ogni soffio sul microfono di questo falso profeta. Il Vangelo in Italia è ancora pressoché sconosciuto ai più, e sono passati almeno vent’anni dal teatrino di Benny Hinn.  Forse perché, tra le innumerevoli attività ecclesiastiche, ci si è dimenticati di predicare il Vangelo, quello vero. E ci si è dimenticati di studiare le Scritture, seriamente intendo. 

Quindi, la Confessione Positiva è quel movimento che crede che attraverso le sue parole, il cristiano possa generare, creare ex novo, una nuova realtà nel mondo spirituale e conseguentemente in quello fisico. Allo stesso modo, le parole negative hanno un effetto negativo: quando si maledice qualcuno o qualcosa, possiamo distruggere una persona o far chiudere una attività commerciale, per esempio. Una base di questo ragionamento, se non ricordo male era Kenneth Hagin che lo diceva (comunque uno dei suoi discepoli), è che il cristiano non ha Dio dentro di sé, ma è il proprio Dio.  Infatti, Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza, abbiamo la sua natura, siamo suoi figli; quindi, così come Dio ha creato il mondo attraverso la sua Parola, allo stesso modo noi abbiamo il suo stesso potere di creare nuove realtà attraverso la nostra parola. Abbiamo quindi la sua stessa autorità. Siccome Dio è in grado di creare l'universo attraverso la Sua Parola e a partire dal nulla, anche noi avremmo questa capacità. Se l'omuncolo avesse aperto un qualsiasi testo di Teologia Sistematica, avrebbe scoperto  che ci sono attributi divini incomunicabili ossia che non sono stati trasferiti all'uomo. Qui possiamo parlare di stupro continuato nei confronti della Parola di Dio e di pura prostituzione ministeriale. 

Questa è l’origine del movimento di Confessione Positiva da cui poi discendono la dottrina della prosperità, la legge dell’attrazione e persino il movimento di battaglia spirituale dove le frasi cult sono “io ti lego, Satana”, “decreto la sconfitta di principati e potestà”, “io ti ordino” eccetera. Non possiamo dimenticare “Torino è del Signore Gesù! Il popolo di Dio lo dichiari con fede!”. L’idea è che se i credenti di Torino dichiarano che la città è del Signore Gesù, questa “potente” dichiarazione di fede genererebbe una nuova realtà, dove i demoni batterebbero in ritirata e le tenebre sarebbero finalmente sconfitte. La famosa “marcia per Gesù” è anch’essa oriunda della Confessione Positiva, perché si marcia rivendicando quel territorio, quella città, quella nazione per Dio. Dimenticano che un territorio, una città o una nazione potranno essere di Gesù sì, ma attraverso la predicazione del Vangelo, quello vero, e dell'opera sovrana dello Spirito Santo. Gesù ci ha ordinato di predicare il Vangelo (possibilmente quello vero, non adulterato) e di fare discepoli, ma non ha mai detto di fare atti profetici o dichiarare qualsiasi cosa.

Per concludere, è ovvio che dobbiamo pesare le nostre parole, non perché abbiano un potere intrinseco, magico, mistico, quando benediciamo o malediciamo qualcuno, ma perché attraverso le parole possiamo ferire, uccidere oppure dare nuova forza a chi non ne ha. Una nostra parola di animo, di incoraggiamento, di perdono, può fare la differenza nella vita del nostro prossimo. Purtroppo, il movimento di Confessione Positiva è andato oltre, troppo oltre, e l’analfabetismo biblico non è stato in grado di interpretarne l'inutilità e la pericolosità. Penso sempre a quelle persone che in buona fede, perché così gli è stato insegnato, gridano fino a diventare paonazzi per dare ordini alla malattia che li sta uccidendo e alla loro frustrazione quando non accade nulla. Poi succede che spesso la misericordia di Dio supplisca alle nostre lacune e ad insegnamenti senza alcun fondamento biblico.

Basterebbe così poco per evitare tanti danni: privilegiare lo studio della Parola invece del sentito dire, delle esperienze improbabili di altri, delle feste in pigiama per dimostrare al mondo che ci divertiamo anche noi e che non siamo noiosi come pensano. Meno storielle e più Vangelo, quello vero però, quello con Cristo crocifisso, ricco di  grazia, misericordia, perdono, ma anche di giustizia e santità. A meno che non si voglia riempire la chiesa di persone vuote. Spero di no. Comunque sia non è a me che dovranno rendere conto di essersi vergognati del Vangelo.

Qoelet, riflessioni teologiche in tempi difficili, il blog di Attorre Matteo

21/10/2024

Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza. Osea 4:6


Studiare la Parola di Dio è un lavoro arduo, perché significa uccidere la nostra pigrizia mentale e, soprattutto, uscire dalla nostra zona di conforto. La zona di conforto è essere soddisfatti con quello che abbiamo già imparato nel passato. Tutti noi, all’inizio della nostra camminata di fede, abbiamo imparato, ascoltando gli altri, diverse cose: alcune di esse sono bibliche, altre sembrano bibliche e altre ancora con la Bibbia non hanno nulla a che vedere. Tutti passiamo per questo. Poi, a causa della nostra natura, ci aggrappiamo con tutte le nostre forze alle nostre convinzioni, a ciò che abbiamo imparato. Non importa se corrette o errate, perché riflettere e confrontarsi con altre interpretazioni non soltanto è un lavoro arduo, come ho detto all’inizio, ma è anche uscire dalla nostra zona di conforto. Non è facile mettere in discussione ciò a cui abbiamo sempre creduto senza sapere con che cosa sarà sostituito, rompere paradigmi, rivedere schemi mentali che ci hanno accompagnato fino ad un attimo prima.

A me piace studiare la Parola. Io penso teologicamente tutto il tempo e mi faccio, tutti i giorni, innumerevoli domande alle quali cerco di dare una risposta. Non è necessario che tutti siano come me, anzi è preferibile che all’interno di un corpo ci siano differenze perché insieme si giunga all’unità di cui l’apostolo Paolo parla nella Lettera agli Efesini.

Quando insegno, il mio obiettivo non è nozionistico, ossia dare informazioni dottrinarie, ma cercare di stimolare chi mi ascolta a riflettere, risvegliare la sua curiosità. Mi piace sfidare chi ascolta a mettersi in discussione, mettere in gioco le sue convinzioni, per costringerlo ad essere nuovamente curioso e quindi pronto per acquisire nuove conoscenze.

Le reazioni sono diverse, così come sono diverse le persone che abbiamo di fronte. Alcuni ascoltano senza rielaborare nulla di ciò che hanno sentito, altri si incuriosiscono e vogliono sapere sempre di più, altri si appassionano al sapere teologico, altri ancora dimostrano riluttanza perchá non vogliono mettere in discussione ciò che hanno imparato nel tempo.

Io, quando ho iniziato questo viaggio, in qualità di alunno, ero certamente curioso e appassionato, ma ero allo stesso tempo anche riluttante di fronte alle novità che mi venivano proposte. La mia era la classica arroganza di chi non sapeva di non sapere, ma pensava di sapere. I miei professori, provenienti da varie denominazioni, durante le loro lezioni dicevano spesso qualcosa che “mi suonava strano”. La mia reazione, per niente umile, era sempre la stessa:  ma che eresia è questa? Divenne famosa la mia frase: “Professore, mi dispiace ma quello che dice non c’è nella mia Bibbia”. Ma queste “stranezze” mi spingevano a studiare, a cercare la verità, a ripensare, reinterpretare, rielaborare. Il mio obiettivo era poter dimostrare, alla luce delle Sacre Scritture, che la loro interpretazione delle Scritture era errata. Oggi posso dire che qualche volta ho avuto ragione io, ma il più delle volte avevano ragione loro. Non importa. Ciò che importa che tutto questo mi ha spinto in avanti, ad alzare il livello, mi ha obbligato ad aprire la mente, iniziando così a pensare fuori dagli schemi, a rompere paradigmi, a non sentirmi mai soddisfatto con ciò che sapevo o pensavo di sapere, ad uscire dalla mia zona di conforto teologico, affrontare le novità con uno spirito differente.

Non ho mai “comprato” tutto quello che mi insegnavano. Questo non è mai accaduto durante la laurea in teologia e nemmeno durante le specializzazioni successive dove c’erano professori certamente poco ortodossi dal punto di vista teologico. Molte cose le ho dovute buttare nel cestino, ma sempre e soltanto dopo averle studiate, dopo averci riflettuto, dopo averle confutate alla luce della Parola. Dopo venti anni di studi teologici, questa è la cosa più importante che ho imparato: uscire dalla mia zona di conforto per darmi la possibilità di imparare sempre nuove cose.

La polemica, il dibattito teologico, il confronto è benvenuto, perché è così che si cresce, è  così che si passa da semplici ascoltatori a persone capaci di pensare, riflettere, interagire. Per questo motivo, sempre provocherò il confronto, la curiosità, le domande scomode. Nel rispetto dell’altro, qualsiasi posizione è degna di essere ascoltata. Poi sarà necessario che la propria posizione venga approvata dalle Scritture, perché “io penso che” non vale in un dibattito scientifico e nemmeno in teologia. Se affermiamo A piuttosto che B, dobbiamo sapere dimostrare perché A è vero e B non lo è, altrimenti restiamo nel campo delle opinioni e questo va bene al bar con gli amici.

Non disprezzate lo studio della Parola. È uno dei migliori investimenti che possiate fare su questa terra.

Qoelet: riflessioni teologiche in tempi dfficili. Il blog di Matteo Attorre

19/10/2024

Quando Nietzche ebbe ragione...


L’essere umano non è preparato per affrontare difficoltà e ciò perché tutti noi ci aspettiamo che possano accadere soltanto cose belle. Quando una fatalità o una avversità ci attinge, noi subito ci disperiamo. Spesso incolpiamo Dio, quello stesso Dio che abbiamo ignorato sino al giorno prima.

Perché secondo il pensiero comune, Dio esiste soltanto quando cura una malattia, quando facciamo carriera e il nostro conto in banca aumenta. Dio si manifesta nella ricchezza e nella salute e non nella povertà o nella malattia. 

L'essere umano, per natura, non riesce a superare lo stereotipo di un Dio che non soltanto permette che uno stupratore stupri, ma poi nemmeno lo fulmina. Un Dio che si gira dall'altra parte quando una mamma, malata di leucemia, lascia una piccola orfana.

Per l'ateo, questi avvenimenti, sono una conferma che Dio non esiste e ciò non crea grandi tumulti nella sua mente.  Va invece in crisi chi si professa cristiano, ma ha una fede "per sentito dire" e non ha la benché minima conoscenza delle Sacre Scritture e quindi del carattere di Dio.

Molti vivono infatti di stereotipi religiosi ed uno dei più in voga è quello della retribuzione. Come i giudei dell'Antico Testamento, pensano che Dio retribuisca l'uomo in base alle sue azioni. Io sono buono e sono ricco e sano. Il mio vicino è malato e ha chiuso la sua attività, quindi il mio vicino ha fatto qualcosa di sbagliato.

Non è in questo articolo che avrò modo di spiegare in maniera approfondita come funzionanano le cose, ma  posso sicuramente lasciare qualche traccia di buon senso biblico a chi vorrà seguirle. Certamente le cose non stanno così, perché Dio non agisce con questi schemi. Le nostre intrepretazioni antropomorfiche degli attributi divini ci portano inequivocabilmente fuori strada.

In verità, già nell’Antico Testamento viene descritto un Dio fedele anche se imprevedibile, un Dio imprevedibile nella Sua fedeltà.  Dio si è sempre mantenuto fedele al Suo popolo nonostante il peccato e l’incredulità.

Non possiamo sondare la mente di Dio, e la sua imprevedibilità, a dire il vero, salvaguardia la sua libertà. La sua imprevedibilità fa in modo che non possa essere ridotto ad un genio della lampada, un semplice guardiano dei nostri interessi personali. Dio non è un servo idiota dell’uomo che possa essere imprigionato o spiegato dalla logica umana. 

Ma torniamo alla "dottrina" della retribuzione giudaica così cara ancora oggi a molti cristiani. E  quando parliamo di "dottrina" della retribuzione non possiamo non citare Giobbe ed il suo libro omonimo.

Il Libro di Giobbe parla di fede, ma parla anche dell’integrità del credente durante le tempeste della vita. Sopra ogni cosa, tuttavia, rivela in maniera nitida il carattere di Dio e soprattutto rompe, già nell’Antico Testamento la “dottrina” della retribuzione, antenata della odierna e tristemente famosa “teologia della prosperità”, una eresia cancerogena che si è metastatizzata nelle chiese del XXI secolo.

Il Libro di Giobbe smonta completamente la “dottrina” della retribuzione, credenza generalizzata tra i giudei dell’Antico Testamento, per la quale le buone azioni attirerebbero la benedizione divina, così come le azioni malvagie attirerebbero le maledizioni. Ovviamente, smonta anche l’odierna “teologia della prosperità” e altre amenità che contaminano la sana dottrina come il “pensiero positivo”, la “legge della attrazione” eccetera.

I giudei credevano che Dio retribuisse le buone azioni e anche quelle malvagie esclusivamente durante la vita terrena, in quanto il destino finale di tutti i morti, buoni e cattivi, senza alcuna distinzione, era lo Sceol, ossia il regno dei morti, e soprattutto pensavano che la retribuzione divina fosse direttamente proporzionale alla bontà o malvagità dimostrata dall’uomo durante la sua esistenza terrena.

Purtroppo, molti evangelici vivono ancora oggi come giudei dell’Antico Testamento, dimenticandosi della dottrina della grazia che già in embrione nell'Antico Testamento ( e nel Libro di Giobbe) è stata sistematizzata nel Nuovo Testamento dall'apostolo Paolo.

Tornando a noi, per chi non ha ancora avuto la possibilità o la volontà di leggere questo splendido Libro dell’Antico Testamento, possiamo riassumere che Giobbe era un “uomo integro e retto, temeva Dio e fuggiva il male”. Giobbe era ammirato dagli uomini e da Dio, un uomo prospero dal punto di vista economico e sociale. Ad un certo punto, Dio permette che molte tragedie lo colpiscano, inspiegabilmente. Giobbe arriva a perdere i suoi beni, i suoi figli e la sua salute. Perché? Non certamente a causa del peccato, visto che Giobbe viene definito dallo stesso Dio come un “uomo integro e retto, temeva Dio e fuggiva il male”.

Bene, Satana aveva sfidato Dio in merito a Giobbe, affermando che Giobbe amava Dio soltanto perché Dio lo aveva benedetto oltremisura. Dio, in ultima analisi, aveva “comprato” l’amore di Giobbe, benedicendolo più di altri. In altre parole, Satana stava mettendo in dubbio non soltanto la sincerità di Giobbe, ma soprattutto il carattere di Dio, il quale corrompe gli uomini per farsi amare. Dio, il quale conosceva Giobbe più di qualunque altro, accetta la sfida, dichiarando che l’amore di Giobbe per Lui era sincero e genuino.

Giobbe, realmente, rimase integro anche durante la sofferenza. Nonostante le circostanze, Giobbe non bestemmiò contro Dio per aver perso i beni, i figli e la salute. Durante tutto il libro si pone molte domande, ma alla fine, anche grazie a questa terribile avventura, Giobbe arriva a conoscere Dio in maniera più intima, a relazionarsi con Lui in maniera più matura: la sofferenza fa maturare molto di più di una vita con petali di rosa sotto i piedi, che ci piaccia oppure no.

Ci sarebbero molte cose da dire, ma per restare alla nostra riflessione teologica di oggi, il Libro di Giobbe rompe completamente e definitivamente con la teoria della retribuzione, anzi gli da un vero e proprio scacco matto. Realmente, Giobbe amava Dio in quanto Dio e non per le benedizioni che aveva ricevuto durante la sua vita.

Purtroppo, gli adepti del grande supermercato della fede ritengono vantaggioso usare frasi bibliche fuori dal suo contesto per indurre i più sprovveduti a credere che possiamo fare affari con Dio, barattare la sua benedizione con la nostra religiosità.  Questa relazione di scambio tra uomo e Dio non solo è teologicamente infantile, ma dimostra una totale ignoranza della natura e del carattere divino: Dio non è un commerciante.

Il Libro di Giobbe dimostra che anche seguendo tutti i precetti religiosi e facendo le migliori opere, non saremo mai liberi dalle crisi, mai saremo totalmente esenti dalla possibilità di sperimentare la sofferenza.

Il Libro di Giobbe, probabilmente il libro più antico della Bibbia, anticipa in maniera inesorabile, già nell’Antico Testamento, la dottrina della grazia: Dio è Dio, benedice chi vuole, è libero di fare miracoli quando e come vuole: alla fine, Lui è fedelmente imprevedibile.

Desidero concludere con una frase del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, uno dei maggiori critici del cristianesimo e nemico acerrimo del Dio dei cristiani: “L’uomo, nel suo orgoglio, ha creato un Dio a sua immagine e somiglianza”. Nietzsche aveva ragione. Abbiamo qui un ateo che pronuncia una grande verità. Siamo passati dall’uomo a immagine a somiglianza di Dio che, ribellandosi ancora una volta, crea un Dio a sua immagine e somiglianza, un Dio su misura.

Qoelet, riflessioni teologiche in tempi difficili, il blog di Attorre Matteo.

 

LA CHIESA E LA MODERNITÀ: UNA SFIDA POSSIBILE?

    La riflessione odierna parte da un quesito che non so quanti si pongono: la chiesa attuale è pronta per le nuove sfide che la modernit...